UN DOVEROSO MEA CULPA.
(di Nicoletta Di Giovanni) - Era il tempo di un Ministero controverso e dell’introduzione dell’odioso principio – già depennato dall’ordinamento fin dagli anni Sessanta – per cui i debiti verso la PA dovevano essere pagati anche prima di essere accertati. Nemmeno i precedenti del centrosinistra arrivarono a tanto! Anche perché, con l’incostituzionale Solve et repete, nonostante le ripetute avverse sentenze della Corte Costituzionale, certe volte c’è ben poco da fare nell’impari lotta tra il singolo e lo stato di polizia fiscale in cui siamo costretti a vivere.
Il Ministro chiese a Befera la certezza di entrate per tredici miliardi come prossima raccolta fiscale, consegnando al Fisco poteri mai visti nella storia della Repubblica. La premessa all’esigenza di far cassa- in qualunque modo, tranne di tagliare a dovere la spesa corrente – si evinceva da questa semplice considerazione: solo una piccola parte dell’evasione contestata si trasformava, alla fine, in gettito reale e se sono un milione le contestazioni dei contribuenti nei confronti del fisco, in aumento del 6%, di questi un terzo ottenevano ragione in primo grado e dei restanti la metà vinceva in secondo grado. Ciò significava che in quasi il 70% dei casi il fisco aveva (ed ha) torto.
Le procedure in deroga, infatti, introdotte per debiti non definitivi di natura previdenziale o derivanti da imposte su redditi e IVA eliminano il passaggio dell’iscrizione a ruolo che consente al contribuente di contestare l’“accertamento” addotto dall’amministrazione, prima che esso diventi titolo esecutivo con l’iscrizione: il recupero delle somme dovute sarà effettuato mediante notifica di avviso di addebito che avrà valore di titolo esecutivo. Se si pensa che, secondo le statistiche pubblicate, le pretese creditorie dell’amministrazione finanziaria più di una volta su due sono infondate e che dunque più di una volta su due lo Stato incassa soldi che non gli sono dovuti, si comprende la gravità della norma. Se le statistiche si mantengono costanti, di 3,2 miliardi accertati e a rischio di confisca ogni anno almeno 1,6 sono riscossi senza giusto titolo. 1,6 miliardi rubati ai risparmi immediati e alle possibilità di investimento dei cittadini. E’ il principio che inverte l’onere della prova: le cartelle che Equitalia ti invia sono esecutive e sei tu a dover dimostrare che sei onesto, non loro che sei disonesto.
Il “titolo di debito” è immediatamente esecutivo: basta un avviso per considerarti in mora. Come si ribadiva prima, non c’è più bisogno di istruire una cartella esattoriale che, ricorsi compresi, porta al saldo dell’eventuale debito entro 15-18 mesi. Per essere più chiari, se lo Stato sostiene che un imprenditore gli debba un tot euro di tasse evase (versare, entro sessanta giorni, l’intero importo) e quest’ultimo fosse in disaccordo, dovrà anticipare subito il 33% di quella somma. In seguito, potrà fare ricorso al magistrato e magari ottenere una sospensione per 2-3 mesi (un tempo ridicolo). Morale dell’illiberalità: lo Stato (cioè la politica-apparato) nel costante bisogno in aumento di far cassa, rimise in piedi questa norma in forza della quale, ancora oggi, costringe gli imprenditori a far prestiti forzosi allo stato; prestiti che rimborserà con calma molti anni dopo. L’apparato statale, ha così spento lo spirito imprenditoriale e mortificato il naturale diritto alla proprietà privata; ha massacrato imprese e lavoratori autonomi, costringendoli a fallire o fuggire all’estero.
Ebbene, tutti coloro che argomentano che i problemi del cd “Centrodestra” siano risolvibili rimettendo insieme una compagine aritmetica, farebbero meglio a chiarire al loro elettorato scoraggiato e stanco, senza indugiare oltre, quali e quanti guasti la fu “Rivoluzione liberale” ha prodotto l’ultima volta che ha governato, al netto di tutto un sistema bloccato e reazionario mescolato al potente ingrediente della magistratura politicizzata. E’ necessario rivolgersi direttamente a quei milioni di italiani, imprenditori e professionisti in primis, che non torneranno più a votare se prima non avranno constatato la pubblica ammenda di chi ha introdotto questa norma illiberale presa ad esempio di una stagione politica e della sua Retorica rivoluzionaria e liberale. Bisogna voltare pagina per rivoltare l’Italia.